Dal corrispondente Washington Donald Trump dichiara lo stato di «emergenza nazionale». L’amministrazione potrà usare subito 50 miliardi di dollari, accantonati per le gravi crisi, e semplificare le procedure per attrezzare ospedali e altre strutture sanitarie. La manovra di contrasto si basa sulla partnership tra pubblico e privato con due obiettivi: sperimentare e produrre rapidamente i test per il Covid-19 e distribuirne 5 milioni sul territorio entro il mese.
Il presidente ha coinvolto nell’operazione 10 aziende della grande distribuzione, da Walmart a Target, dell’industria farmaceutica, da Roche a LabCorp. I cittadini americani potranno anche sottoporsi a un primo screening attraverso un modello messo a punto da Google. Il motore di ricerca guiderà il paziente tra i dubbi e, soprattutto, fornirà gli indirizzi e i contatti più vicini per sottoporsi a un tampone.
Vedremo se tutto ciò migliorerà la situazione concreta sul territorio, dove ancora non si vedono i kit e dove preoccupa la tenuta generale dell’apparato sanitario. Mancano quantità sufficienti di letti negli ospedali, di ventilatori per la respirazione. Persino le mascherine di protezione per gli operatori sanitari sono poche: 30 milioni in tutto il Paese, ne potrebbero servire 300 milioni.
Altri finanziamenti potrebbero arrivare dal pacchetto di aiuti negoziato alla Camera tra la Speaker Nancy Pelosi e il Segretario al Tesoro, Steven Mnuchin. Tra i provvedimenti ci sono rimborsi per i lavoratori messi in congedo forzato dalle aziende e la garanzia che i test per il coronavirus saranno coperti dalle assicurazioni o dalle casse pubbliche.
Intanto la diffusione del virus procede a un ritmo costante e tocca 46 Stati. Le persone positive sono 1.678, 400 in più del giorno prima, mercoledì 11 marzo. I morti sono 41. Non ci sono zone franche per il contagio. Lo stesso Trump ha detto che «molto probabilmente» si sottoporrà a un tampone: «Seguirò i consigli del medico, vedremo nei prossimi giorni». Ieri anche Ivanka, la figlia-consigliera del presidente, ha deciso di auto isolarsi, dopo aver avuto contatti con il ministro degli Interni australiano, Peter Dotton, risultato positivo al coronavirus. Il problema è che finora gli Stati Uniti si sono mossi in ordine sparso. Per esempio il sindaco di New York, Bill de Blasio, ha disposto il divieto di «assembramenti numerosi» chiudendo i teatri di Broadway, ma lasciando aperte le scuole. I governatori di Ohio, Maryland, Oregon, Lousiana, New Mexico, West Virginia e Virginia hanno ordinato l’interruzione di tutte le attività didattiche. Hanno fatto la stessa cosa i sindaci di grandi città come Atlanta, Denver, Seattle, San Francisco, San Diego, Austin e Washington, la capitale.
L’onda investe anche i diritti politici. La Louisiana ha deciso di rinviare dal 4 aprile al 20 giugno le primarie del partito democratico. Al momento resta confermato il turno di martedì prossimo in Florida, Ohio, Illinois e Arizona. L’onda investe l’industria cinematografica di Hollywood che ha sospeso tutte le produzioni