Guerra e affari. Il flop delle sanzioni a Mosca: l’economia russa va con India e Cina

I risultati di uno studio europeo confermano l’effetto «travaso». Assieme alla Turchia, i giganti asiatici hanno sostituito l’Occidente negli scambi

La Cina è sempre più vicina alla Russia. Insieme all’India e alla Turchia ha preso il posto lasciato vuoto dai Paesi occidentali negli scambi commerciali con Mosca. La pioggia di sanzioni scattate dopo lo scoppio della guerra in Ucraina non ha avuto gli effetti previsti.

In questi due anni gli equilibri della bilancia commerciale russa si sono profondamente modificati ma il Paese guidato da Putin non ha avuto quella grave recessione che il Fondo monetario internazionale aveva ipotizzato. Anzi ha saputo cambiare con rapidità i suoi interlocutori.

Nel 2022 la contrazione dell’economia russa è stata del 2%, mentre nel 2023 si è registrata una crescita del 3% del Pil. Ad analizzare nel dettaglio le dinamiche delle importazioni e delle esportazioni uno studio di Bruegel, il centro studi europeo con sede a Bruxelles che svolge da vent’anni analisi sulla politica economica.

Lo studio, realizzato dai tre esperti Zsolt Darvas, Luca Léry Moffat e Conor McCaffrey e pubblicato pochi giorni fa, conferma che le sanzioni perdono efficacia con il tempo, perché i Paesi che non le attuano approfittano delle opportunità economiche che le sanzioni stesse producono.

Si realizza così una sorta di “travaso”, a volte alimentato da meccanismi poco trasparenti. C’è il sospetto, infatti, che alcuni beni colpiti da sanzioni siano in questi anni arrivati lo stesso.

Proprio per questo nel tredicesimo pacchetto di sanzioni l’Europa per la prima volta ha preso di mira alcune aziende cinesi sospettate di riesportare tecnologia avanzata e componenti militari europei vietati in Russia.

L’analisi di Bruegel parte da un dato complessivo riguardo al “peso” delle esportazioni globali in Russia. Passate dall’1,39% del periodo 2017-2019 all’1,17% nei due anni di guerra.

La Russia, insomma. come mercato ha perso quota. Le esportazione dalla Ue, che avevano raggiunto i massimi storici nel 2007 con il 7% del totale, sono crollate dal 4% all’1,4%.

Di contro quelle provenienti dalla Cina sono passate dal 2 al 3%. Analizzando in dettaglio la composizione del commercio estero in 38 Paesi lo studio evidenzia come le esportazioni da parte dei paesi sanzionanti (i 27 della Ue più Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Svizzera, Norvegia e Corea del Sud) si sono più che dimezzate passando da una media di 10,5 miliardi di dollari al mese nel 2019 a 5,9 miliardi nel 2023.

In particolare, sono crollate le esportazioni di macchinari e attrezzature di trasporto (da 4,9 miliardi dollari a 1,1 miliardi al mese). Di contro le esportazioni da parte degli altri Paesi (Cina, India, Brasile, Turchia e Kazakistan) che non hanno introdotto sanzioni sono raddoppiate passando da 6 miliardi di dollari al mese a 11,5 miliardi.

Anche in questo caso a fare da traino sono stati i macchinari e le attrezzature di trasporto.

Una coincidenza che potrebbe riflettere una “deviazione” degli scambi e un’evasione delle sanzioni. Secondo gli autori, infatti, la Russia riceve beni sanzionati attraverso canali irregolari: circa il 10% del calo delle esportazioni sarebbe in realtà stato dirottato da Paesi terzi verso la Russia, in alcuni casi senza essere registrato, creando un fenomeno chiamato “commercio fantasma”.

Lo studio si focalizza su cinque categorie di macchinari: in tutti i casi il calo delle esportazioni dai Paesi occidentali viene contro-bilanciato da quelle provenienti dalla Cina e dagli altri Paesi non sanzionanti.

Per le auto ad esempio il bilancio finale è in pareggio vista l’esplosione delle esportazioni dalla Cina: al momento il 50% delle auto vendute in Russia è cinese, erano il 10% prima della guerra.

Nessun calo delle esportazioni per i prodotti farmaceutici e quelli agricoli, non colpiti dalle sanzioni, che erano però stati fortemente ridotti dieci anni fa in seguito all’occupazione della Crimea.

Per quanto riguarda le importazioni dalla Russia si sono ridotte in maniera consistente nei Paesi sanzionatori. Il caso esemplare è quello dei combustibili fossili, gas e petrolio, dirottati in larga parte verso Cina e India.

E se sul fronte energetico non è stato difficile per la Russia rimpiazzare i Paesi occidentali, le importazioni di manufatti hanno risentito della guerra e si sono più che dimezzate passando da 2,6 miliardi di dollari al mese a meno di un miliardo.

Complessivamente le importazioni dalla Russia da parte dei Paesi sanzionanti sono diminuite di 12,4 miliardi di dollari al mese, mentre sono aumentate di 12 miliardi da parte dei Paesi che non hanno applicato sanzioni.

La conclusione del rapporto è che l’invasione dell’Ucraina ha scombussolato il commercio russo, sparigliando le carte e costringendo Mosca a trovare nuovi mercati.

Finora la riduzione degli scambi con i Paesi occidentali non è stata del tutto rimpiazzato da quelli con i Paesi emergenti ma il “pareggio”, che annullerà gli effetti delle sanzioni, è ormai vicino.