Ha lasciato la riunione ristretta per affrontare l’emergenza Covid-19 e dalla porta ha detto ai ministri che lo guardavano perplessi: «E’ una questione di valore nazionale, più tardi saprete di che cosa si tratta». Dieci minuti dopo Benjamin Netanyahu è tornato nella stanza e a rivelare quale fosse il motivo della fuga è stato Donald Trump, dal suo megafono preferito: «Enorme svolta! Storico accordo di pace tra due nostri grandi amici, Israele e gli Emirati Arabi», ha proclamato via Twitter il presidente americano.
In realtà sulle parole precise per definire l’intesa è proprio l’accordo a mancare: secondo Mohammed bin Zayed Al Nahyan, il principe ereditario che governa la monarchia del Golfo, nella telefonata a tre del pomeriggio sono stati definiti i passi da intraprendere per raggiungere le relazioni bilaterali. Rapporti che per Netanyahu – e Trump – sono da questo momento già normalizzati. Anche sullo scambio per arrivare a questo patto c’è qualche discordanza: lo sceicco proclama che gli israeliani hanno rinunciato all’ipotesi di annettere parti della Cisgiordania, il primo ministro da Gerusalemme e Trump da Washington parlano solo di sospensione.
Netanyahu usa la parola rinvio per calmare l’estrema destra nella coalizione al potere, i coloni già lo accusano di averli svenduti, aveva promesso di inglobare alcune aree dei territori palestinesi entro il primo luglio. Di sicuro – sostengono gli analisti locali – sembra aver deciso di rinviare la crisi di governo: negli ultimi giorni fonti del suo Likud avevano lasciato capire che l’alleanza con l’ex avversario Benny Gantz stesse saltando, gli israeliani rischiavano di tornare a votare verso novembre, la quarta volta in un anno e mezzo. E’ improbabile che Bibi – come lo chiamano amici e nemici – sia pronto a una campagna elettorale in cui verrebbe demonizzato dai coloni e dagli ultranazionalisti. L’annuncio riunisce nella rabbia le fazioni palestinesi divise: «Questa normalizzazione premia l’occupazione israeliana», sostiene Hanan Ashrawi, storica leader di Fatah che ha sempre fatto parte della squadra di negoziatori fin dalla conferenza di pace a Madrid nel 1991. La pensano allo stesso modo i portavoce di Hamas: «L’accordo non aiuta la causa palestinese».
Esaltato dal risultato, Trump ha spiegato dalla Casa Bianca di poter raggiungere un’intesa con l’Iran«in 30 giorni, «se vengo rieletto». Ed è convinto che altri Paesi arabi seguiranno gli Emirati. Per ora a elogiare il passo diplomatico è una delle due nazioni arabe ad aver siglato un accordo di pace con Israele: «Importante aver fermato l’annessione», commenta Abdel Fattah al Sissi, il presidente egiziano. Più che l’annessione però al centro delle preoccupazioni è stato in questi anni l’espansionismo iraniano nella regione. Gli israeliani e i regni del Golfo sunniti hanno già intrecciato relazioni non ufficiali proprio per contrastare quella che considerano la minaccia sciita. La crisi sanitaria causata dal Coronavirus – in Israele i casi sono tornati a crescere da un mese con picchi di duemila nuovi contagiati al giorno – ha contribuito ad avvicinare Israele e gli Emirati con missioni più o meno segrete del Mossad per recuperare materiale medico.